da: il manifesto 2012.08.24
AGRICOLTURA – Il governo da un lato vuole tutelare il suolo agricolo, dall’altro lo regala ai costruttori. Il ministro Catania: prima il sistema idrico «Opere d’acqua per salvare la piccola terra INTERVISTA – Eleonora Martini
«Porterò oggi in consiglio dei ministri un ddl per le coltivazioni. Il territorio va salvaguardato, perché l’Italia non è autosufficiente negli alimenti» Al consiglio dei ministri di oggi, il primo dopo le vacanze estive, il ministro dell’Agricoltura Mario Catania porterà una bozza del ddl che prepara da tempo contro il consumo di suolo agricolo. «Persevero nell’obiettivo, difficile ma non impossibile, di vederlo licenziato dal Cdm entro settembre e approvato definitivamente nel corso di questa legislatura».
Sarebbe la prima volta che si riconosce lo scempio della cementificazione… È un progetto a cui tengo molto: per inseguire l’anarchia di dinamiche incontrollate, abbiamo consumato milioni di ettari di terreno agricolo. Il ddl, tra le altre cose, propone di abolire l’uso degli oneri di urbanizzazione per la spesa corrente dei Comuni, in modo da evitare che per fare cassa gli enti locali sacrifichino terre fertili. Sono convinto che è un errore su scala planetaria utilizzare una risorsa alimentare per produrre energia sia pure rinnovabile, come nel caso delle centrali fotovoltaiche o ad agrocombustibile. È uno sbaglio gravissimo che in Italia è ancora più pesante perché il nostro Paese non è autosufficiente: importiamo il 20-25% degli alimenti. Per questo, due mesi fa il governo ha voluto rimodulare gli incentivi per le rinnovabili.
Oggi in Cdm vi apprestate a varare una serie di misure «per la crescita» del Paese. Cosa proporrà per il settore agroalimentare? A livello europeo stiamo affrontando la riforma della politica agricola comune (Pac), il negoziato si chiuderà entro il prossimo inverno. Ma a livello nazionale dobbiamo affrontare una serie di questioni: il consumo del suolo, appunto, e poi il problema dell’acqua. Due punti su cui bisogna voltare pagina; devono far parte di un nuovo modello di sviluppo perché negli ultimi 50-60 anni abbiamo inseguito una sviluppo incontrollato e non programmato di attività industriali e di edilizia. Crescita vuol dire anche tutela del made in Italy e funzionamento della filiera agricola in modo da assicurare reddito agli agricoltori. L’agroalimentare può dare un grosso contributo alla crescita. Sia chiaro, non sto teorizzando il ritorno alla civiltà rurale, sarebbe ridicolo, ma un modello più armonico che premi la qualità dei prodotti, in sintonia con l’ambiente, la qualità della vita e del lavoro. È inconcepibile, infatti, che da esportatori di grano, oggi in Italia l’approvvigionamento di grano tenero rimanga largamente al di sotto del 50% mentre per il grano duro siamo al 70-80%. Non siamo autosufficienti nemmeno nell’olio di oliva, fermo al 75-80% dell’approvvigionamento. Rimaniamo in eccedenza solo con vino, riso e ortofrutta. Perché da troppo tempo non abbiamo una vera politica agricola. E se viviamo bene è solo perché siamo in un periodo storico di pace, in occidente. Ma non dobbiamo farci illusioni: la domanda mondiale crescerà più dell’offerta.
La siccità di queste ultime settimane sta mettendo in ginocchio alcune regioni. Ma ai cambiamenti climatici si aggiunge una mala gestione della risorsa idrica, è d’accordo? Assolutamente sì. Infatti, se da un lato ho chiesto a Bruxelles di anticipare di due mesi i fondi Pac 2012, in modo da garantire agli agricoltori un sostegno in questa fase di difficoltà produttiva, e ci prepariamo a dichiarare lo stato di calamità, dall’altro ho convocato per il 5 settembre una riunione con tutti gli assessori regionali per esaminare una nuova strategia nazionale per l’acqua. D’altronde, oltre al Veneto e all’Emilia Romagna, particolarmente colpite dalla siccità, mi aspetto un dossier da almeno 8 o 9 regioni. E ho già parlato con il ministro Barca per mettere insieme risorse che provengano anche dalle politiche regionali.
L’oro blu non manca in Italia, eppure secondo Legambiente se ne spreca il 42%, mentre il 70% dell’acqua prelevata si consuma a scopo agricolo. Mancano infrastrutture adeguate ma anche regole e modelli di consumo corretti. Bisogna, per esempio, orientare gli agricoltori verso tipologie di irrigazione meno dispendiose di quelle usate attualmente. Ma soprattutto va messa in piedi una strategia complessiva per il sistema idrico. Quest’anno facciamo partire cantieri per 600 milioni di euro per potenziare la rete irrigua nazionale, quella dedicata all’agricoltura. Mentre la ristrutturazione della rete idrica nazionale va affrontata nel quadro di programmazione 2014-20, convogliando uno sforzo finanziario importante in quello dell’Unione europea.
Ma non c’è anche un problema di cattiva gestione dei fondi comunitari? Non più come nel passato, anche se oggi la politica europea non incentiva più direttamente la produzione, come un tempo. Gli aiuti vengono erogati a prescindere dalla produzione. Ma questo cambiamento è dovuto al fatto che l’Europa per molti anni ha venduto sul mercato mondiale le eccedenze agroalimentari a prezzi sovvenzionati, facendo un danno alle agricolture fragili dei paesi in via di sviluppo.
La Confagricoltura vi ha chiesto di sostenere, nel prossimo G20 dedicato all’emergenza mondiale per i raccolti, la proposta francese di un «patto di stabilità» per i prezzi agricoli. Cosa ne pensa? Credo sia una strada percorribile. Oltre al consumo di terra per la produzione energetica, c’è un altro tema in discussione a livello planetario che riguarda i derivati sulle commodities (come cereali, riso o soia, alla base della catena alimentare, ndr) che hanno già fatto danni a livello globale. Le transazioni sulle commodities agricole sono decine di volte superiori al valore delle transazioni reali. Per fermare la cosiddetta volatilità dei prezzi, dovuta anche all’effetto della speculazione, bisogna regolamentare il mercato dei derivati che amplifica le tendenze e quindi dilata gli andamenti reali. E l’unico modo per farlo è raccordare le politiche agricole mondiali. L’anno scorso, al G20 di Parigi, come capo dipartimento del ministero, ci ho provato in accordo con i francesi. Ma c’è una cultura predominante che si rifiuta di mettere le mani sui mercati finanziari.